Negli ultimi 15 anni l’uso della bici era stato abbandonato dai cinesi. Grazie alle nuove tecnologie il fenomeno bike-sharing dilaga e si espande all’estero

La bicicletta sta ritornando un mezzo importante per la mobilità a Pechino grazie al bike-sharing.  Il fenomeno sembra inarrestabile tanto che ci sembra di vedere la Cina sottoposta alla dura invasione delle biciclette. Potrebbe essere il titolo di uno splatter anni ’80.
Huang Linwei, 29 anni, designer pendolare intervistato dal New York Times ha detto:

Negli ultimi mesi, le bici sembrano impazzite. Sono come mostri che occupano la città. Sovente ho trovato difficoltà nel parcheggiare la macchina perché ci sono bici parcheggiate ovunque”.

Tre paiono i fattori chiavi dello successo del bike-sharing in Cina:

– Risolevere i problemi legati al traffico congestionato e all’inquinamento
– Supporto dal Governo di Pechino
– Innovazione tecnologia

 

Per chi studiava geografia fino agli anni ’80, uno dei simboli della Cina e di Pechino era la bicicletta. Migliaia di persone che utilizzavano la bici per spostarsi. Stando agli studi Bejing Morning Post nel 1980 quasi il 63% dei pendolari andava al lavoro in bicicletta. Dagli anni ’90 in poi il mezzo è stato progressivamente sostituito dalle automobili. La percentuale a oggi è scesa sotto il 12%.
Avere un’auto era uno status symbol e così Pechino e le altre metropoli del Nord Est sono diventate fra le città più inquinate al mondo e con un traffico ingestibile.

 

Traffico e inquinamento

 

Per i pendolari il problema del traffico è un grosso problema. Rimanere imbottigliati nel traffico,trovare parcheggio, prendere il bus o la metropolitana. Tutto sembra un impresa in una metropoli di 21,5 milioni di abitanti. Recarsi al luogo di lavoro può trasformarsi spesso in un secondo lavoro per molti di loro.

Così da un problema e da un’esigenza concreta, nasce un’idea di business. I giovani cinesi, ispirandosi ai modelli di alcune città europee, vogliono riportare la Cina a essere il Regno delle bici dando vita così a diverse start-up.

Il bike-sharing infatti è la soluzione ideale per percorrere l’ultimo chilometro. Le persone possono prendere la metropolitana o i mezzi pubblici e poi spostarsi con la bici dalla stazione al luogo desiderato.

La spinta è talmente forte che le start-up crescono con numeri impressionanti. Ad esempio le due aziende leaders Mobike e Ofo, attive dal marzo 2015, hanno già attirato 750 milioni di investimenti privati.

 

 

 

Supporto dal Governo di Pechino

 

Un altro fattore davvero importante alla crescita del bike-sharing è il supporto che il governo da al settore. L’obiettivo di Pechino è che entro 2020 il 18% dei lavoratori pendolari si sposti con la bicicletta. In altre parole il Governo funge da sponsor per le neonate aziende. Questo permette loro di attirare capitali che vedono il settore come un fattore chiave per lo sviluppo urbano delle città.

Le città cinesi di oggi sono invase da una moltitudine di bici colorate e dal design accattivante. La Ofo ad esempio ha un parco di 3 milioni bici di color giallo in 50 città cinesi. Segue l’arancione delle bici di Mobike, il blu delle Bluegogo e il verde di Forever. Questi per citare le maggiori ma a oggi si contano almeno una dozzina di aziende che operano nel bike-sharing in tutta la Cina.

Innovazione tecnologia

 

Le aziende hanno studiato un sistema tecnologico di affitto simile a quello usato da Motit a Barcellona di cui vi abbiamo parlato nello scorso articolo.

Il ritiro e la riconsegna delle bici non è quindi vincolato alla presenza di appositi stalli. E’ possibile lasciare le bici ovunque. Tramite GPS è possibile individuare il veicolo più vicino. Il noleggio avviene tramite app, è sufficiente leggere il codice Qr presente sul manubrio o dietro il sellino e ritirare la bici. Il costo solitamente è di 0,14 euro all’ora. L’abbonamento-cauzione costa invece 40 euro.

La tecnologia sviluppata dai modelli di bike-sharing cinesi si è rivelata un fattore determinante per il successo dello strumento. Con la tecnologia è stato reinventato l’utilizzo di uno strumento tradizionale come la bici.
Il modello europeo invece è rimasto fermo al ritiro e alla riconsegna delle bici in appositi stalli vincolando di fatto l’utente. Questa mancanza di innovazione tecnologica potrebbe rivelarsi un fattore invece di successo per le aziende cinesi che hanno intenzione di espandersi.

 

 

 

Ofo vale 2 miliardi di dollari e ora è pronta all’internazionalizzazione

 

Le innovazioni legate al servizio hanno permesso alla Ofo un successo poderoso. Come abbiamo detto può contare su un parco di 3 milioni di bici e il valore stimato della start-up è arrivato a 2 miliardi di dollari secondo fonti CNBC. Grazie alla massa critica sviluppata e all’organizzazione creata dal 26enne imprenditore Dai Wei, l’intenzione è di rivolgersi a mercati fuori dalla Cina.

Ofo è già presente a Londra e Singapore ma i piani di espansione non si fermano. Sono previste nuove aperture in altri 20 paesi tra cui Giappone, Spagna, Francia, Germania e Filippine. Un simil successo ha dato alla Ofo l’appellativo di Uber delle bici, anche se noi crediamo che la Ofo è davvero un caso a se.

 

Non mancano i problemi

 

Il fatto che non esistano appositi stalli ha portato confusione per le strade. Ricollegandoci a quanto detto da Huang Linwei “…ci sono bici parcheggiate ovunque” , i mezzi vengono infatti lasciati disordinatamente agli angoli delle strade, sugli attraversamenti pedonali, sono accatastate lungo i marciapiedi. Le municipalità di Shanghai e Pechino stanno studiando nuove regole da imporre a Ofo e Mobike per riportare l’ordine.

 

bike-sharing Pechino confusione

 

La tecnologia e l’innovazione si inseriscono solitamente in un mercato per risolvere delle problematiche e il caso cinese ci insegna come la tecnologia possa cambiare la fruizione di un servizio tradizionale rendendolo talmente efficiente e pratico da spopolare con numeri impressionanti.Il vantaggio è sotto gli occhi di tutti e così l’utente medio per muoversi quasi non ci pensa a utilizzare l’auto.

La sharing economy in generale ci da sempre più l’impressione che sia, invece, lo strumento che permette di governare meglio le complessità dell’ambiente proprio perché abbina tecnologia a convenienza economica.

Di questo se ne stanno accorgendo un po’ i governi di tutto il mondo, ma in Italia?

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