Non esistono solo modelli di sharing economy legati alle app. Breve viaggio nel mondo della sharing economy che può fare a meno dello smartphone.
Quando parliamo di sharing economy pensiamo subito che dobbiamo scaricarci un’app. D’altra parte l’interfaccia naturale di AIRBNB, UBER, BLABLACAR sono le rispettive app.
Non sempre è così, a volte possiamo parlare di sharing economy senza l’app sia necessaria.
E’ per importante che esista un altro aspetto fondamentale che è la comunità.
Oggi vedremo alcuni esempi di Community realie non virtuali che hanno dato vita a modelli di economia condivisa:
Leila
Leila project è la biblioteca delle cose. Nata a Berlino nel 2011 è sostanzialmente un luogo fisico dove le persone possono prendere in prestito qualsiasi oggetto. Dallo zaino al trapano, dai giochi da tavola allo spremiagrumi. Gli oggetti sono forniti dagli stessi membri della community. I ragazzi che gestiscono il Leila di Bologna dicono : “Alla persona che viene, non chiediamo di lasciarci gli oggetti di cui si vuole liberare, ma quelli che ancora le appartengono e che continua a usare, anche se non quotidianamente”.
Così gli oggetti inutilizzati prendono nuova vita.
“Alla persona che viene, non chiediamo di lasciarci gli oggetti di cui si vuole liberare, ma quelli che ancora le appartengono e che continua a usare, anche se non quotidianamente”.
Per aderire è piuttosto semplice si porta un oggetto e si paga una tessera annuale di 25 euro. Il rinnovo costa 20 e chi porta un amico paga soltanto 15 euro. Alla scadenza decidere se rinnovarla o meno e, in tal caso, ci si riprende l’oggetto.
L’idea Leila project si è diffusa un po’ ovunque. Partita da Berlino ha coinvolto diverse città della Germania e dell’Austria per toccare l’Italia a Bologna e sbarcare a Toronto.
Essendo la biblioteca delle cose uno spazio fisico è sintomatico che svolga il ruolo di luogo di aggregazione. Ciò comporta ovviamente un tipo di socialità diverso rispetto alla community virtuale. Nel primo caso è un incontro fisico fra un singolo e una comunità intera. Nel secondo, come abbiamo visto con la app Paladin, è un incontro fra due singoli che decidono di portare e a termine lo scambio.
Pumpipumpe
L’associazione Pumpipumpe nasce in Svizzera e l’idea su cui si fonda è tanto semplice quanto geniale.
Si tratta di una community dove si condividono oggetti fra abitanti dello stesso palazzo o delle case adiacenti.
Anche in questo caso si condividono gli oggetti poco utilizzati.
Il sistema, come dicevamo, è semplice. Su ciascuna buca da lettera i membri della community attaccano l’adesivo raffigurante gli oggetti che si mettono in comune. In questo modo chi ha bisogno di un trapano o di un taglia erbe dovrà semplicemente vedere su quale buca delle lettere è presente il simbolo corrispondente all’oggetto cercato.
l’idea su cui si fonda è tanto semplice quanto geniale
Sul sito di Pumpipumpe è possibile ordinare gli adesivi e sostenere l’associazione.
In questo caso la community è ristretta al vicinato ed è quindi formata da persone che conosciamo meglio rispetto alle piattaforme on-line. Non prevede un luogo comune di incontro come nel Leila project. E’ un qualcosa che spazia dalla pratica di buon vicinato alla sharing economy fai da te.
L’aspetto positivo? Non richiede alcun investimento per realizzarla.
Co-housing
Il co-housing è un sistema di abitazioni private dotate di spazi e servizi comuni, progettati e realizzati dai loro futuri abitanti. Lo scopo è quello di raggiungere una sintesi fra l’autonomia dell’abitazione privata e la condivisione di spazi e servizi come ad esempio lavanderia, micronido, orti e giardini, co-working…
In altre parole persone che hanno una serie di affinità elettive si trovano e si organizzano per ideare e progettare quella che sarà la loro futura abitazione. In questo modo ci si sceglie i propri vicini di casa futuri e insieme si costruisce una comunità.
scegliere i propri futuri vicini di casa
Ovviamente questo genere di progetto comporta benefici dal punto di vista sociale ma soprattutto da quello economico. Dando vita a una serie di economie di scala grazie alla condivisione di servizi la comunità è in grado di abbattere significativamente i costi della vita.
In questo caso ci troviamo a un chiaro esempio di economia della condivisione. Rispetto ai precedenti esempi, necessita di una serie di investimenti importanti per i membri della community a fronte di uno scopo alto e che ha, però, risvolti davvero significati sulla qualità della vita.
Portierato di quartiere
Non si tratta di un vero e proprio modello di sharing economy eppure ha diversi punti in comune.
Si chiama “Lulu dans ma rue” e nasce a Parigi nel Marais a due passi dalla place de Vosges e di fronte alla chiesa di Saint Paul. Sorge al posto di una vecchia edicola e nell’arco di un anno ha risolto più di 4000 problemi. Si va dall’aiuto ai bambini per fare i compiti, alla riparazione di rubinetti, dal portare la spesa alle signore anziane alle pulizie, dal cambio della lampadina all’innaffio delle piante.
Qualsiasi sia il problema è sufficiente rivolgersi a Lulu con una telefonata, una mail o di persona. Il portiere provvederà a risolvere il problema trovando la persona giusta.
Lulu dans ma rue
E’ un progetto che nasce dall’idea di Charles-Edouard Vincent economista prodigee ha il sostegno del comune di Parigi.
L’idea ha avuto successo e diversi chioschi sono nati in altre parti della città. Nel 2017 l’idea è sbarcata in Italia a Genova nello storico quartiere Foce e prende il nome di Mani-man. A dimostrazione del successo dell’idea altre iniziative simili si stanno diffondendo in altre zone d’Italia come ad esempio Torino e Milano.
Il portierato di quartiere in realtà svolge un po’ la funzione di aggregatore e passatemi il termine di “motore di ricerca umano”. Ci si rivolge a lui per lavoretti come succede per Tabbid o Gogojobo. La sua attività è rivolta a una comunità, quella di quartiere appunto. In un periodo storico dove il lavoro di portierato diventa marginale nasce un portierato non più esclusivo del singolo palazzo ma condiviso fra più strutture. Considerando il ruolo di aggregatore e di portierato condiviso in questo senso ci piace forzare la mano e avvicinarlo agli esempi precedenti di sharing economy.
In definitiva come dice la parola stessa “economia della condivisione”, l’elemento cardine perché il modello si realizzi è la comunità o community (inglesismo prepotente). Sicuramente la tecnologia svolge un ruolo importante in quanto facilita lo scambio di informazioni. I successi di Airbnb e Blablacar, ci insegnano però, che ciò che conta davvero è che alla base si crei una community importante.