Il co-housing sta prendendo sempre più piede nel nostro paese. Scopriamo cos’è il co-housing, la sua storia e come si può realizzare in Italia
Ultimamente sentiamo spesso usare il termine co-housing. Ma cos’è il co-housing? In italiano possiamo tradurlo in coresidenza. In passato avevamo già accennato al co-housing, inserendolo in quei modelli di Sharing Economy che non necessitano di app. Lo avevamo definito “un sistema di abitazioni private dotate di spazi e servizi comuni, progettati e realizzati dai loro futuri abitanti”. Siccome non è semplice trovare una definizione unica vediamo cos’abbiamo trovato sul web.
Il termine coresidenza (in inglese cohousing) definisce degli insediamenti abitativi composti da alloggi privati, corredati da ampi spazi comuni (coperti e scoperti) destinati all’uso collettivo e alla condivisione tra i coresidenti (in inglese cohousers).
I cohousing sono composti da abitazioni private corredate da spazi e servizi comuni, progettati e realizzati, fin dalla concezione del progetto, dai loro futuri abitanti (i cohouser). Combinano l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di servizi, risorse e spazi condivisi.
Cohousing (community italiana dedicata al co-housing)
In queste due definizioni, come nelle altre che abbiamo trovato, gli elementi portanti sono: spazio privato e spazio comune. Le strutture in altre parole presentano la coesistenza di spazi privati per i singoli abitanti e spazi comuni con i quali gli abitanti possono condividere servizi di varia natura ottimizzando i costi. Ovviamente non dimentichiamo l’aspetto sociale del cohousing, ma ci arriveremo in seguito.
Storia del co-housing
Il cohousing nasce in Danimarca a fine anni ’60. Nel 1969 si riunirono un gruppo di una cinquantina di famiglie con l’intento di creare una piccola comunità in grado di condividere uno spazio abitativo abbattendo i costi e favorendo l’aiuto reciproco. Oggi diremmo che stavano lavorando a un progetto di cohousing. Tutto ebbe inizio nel 1967, a seguito di un articolo scritto da Bodil Graae su Politiken intitolata “I bambini devono avere un centinaio di genitori” con l’intento di spronare le famiclie a trovare un nuovo modo di abitare.
Nacque così nel 1972 Sættedammen a Hillerød (30 km da Copenaghen), la prima comunità al mondo di co-housing. Attualmente è composta da 70 persone e 27 abitazioni. La stessa progettazione fu piuttosto innovativa con travi portanti che attraversano l’edificio in modo tale da poter spostare i muri non portanti in modo tale da modulare al meglio gli spazi tra gli abitanti.
In contemporanea, nel 1964 l’architetto danese Jan Gødmand Høyer, ispirato dai suoi studi ad Harvard, elaborò un nuovo concetto di abitazione in grado di realizzare la coabitazione. Nel 1972 diede vita allo Skraplanet, altro progetto di cohousing, vicino a Copenhagen.
Il fenomeno danese di coresidenza prese il nome di bofælleskaberi e piano piano si diffuse negli altri paesi scandinavi sino ad approddare negli Usa dove venne chiamato cohousing dagli architetti Kathryn McCamant e Charles Durret che studiarono le diverse comunità in giro per il paese.
Oggi il cohousing è diffuso nei paesi scandinavi, in Usa, in Gran Bretagna e in Olanda dove addirittira si contano 300 co-housing.
Le caratteristiche del co-housing
Elencare le caratteristiche che definiscono cos’è il co-housing non è semplice. Ogni progetto ha una storia a sè e differisce dagli altri, ma esistono comunque dei tratti in comune.
Spesso si tratta di iniziative dal basso che partono dalla volontà dei singoli di creare una comunità col fine di realizzare un progetto di coresidenza. In questo caso si tratta di comunità intenzionali. Può capitare che l’iniziativa venga da un ente promotore privato o pubblico.
La struttura abitativa può essere costituita da un’unità singola con diversi alloggi o da più unità abitative che ceando una sorta di villaggio. In entrambi i casi è indispensabile la presenza di ampi spazi e servizi in comune. Esempi di spazi o servizi in comune sono: lavanderia, micronido, laboratorio per il fai da te, stanze per gli ospiti, orti e giardini, sala delle feste con cucina professionale, piscina,palestra, internet cafè, spazi di coworking…
Il co-housing deve combinare autonomia e comunità. Deve coniugare i benefici della condivisione mantenendo però l’individualità e la privacy della propria abitazione.
Per questo motivo la progettazione è sovente partecipata. I futuri cohousers sono parte attiva della progettazione del luogo dove andranno a vivere scegliendo i servizi da condividerli e come gestirli. Non si tratta, quindi, di un concept studiato dall’alto e che viene venduto, ma parte appunto dal basso. In questo modo i cohousers sono già comunità prima ancora di abitare assieme. E’ la comunità che definisce cos’è il co-housing che andrà a creare.
Design e spazi per la socialità. I cohousers decidono quali spazi avere in comune e come utilizzarli, ma spesso sono affiancati da architetti che gli aiutano a disegnare spazi che aiutino a far crescere i rapporti di vicinato e far crescere la comunità.
Vicinato elettivo. Le comunità di co-housing aggregano persone dalle esperienze differenti, che scelgono di formare un gruppo promotore e si consolidano con la formazione di una visione comune condivisa.
…combinare autonomia e comunità…
Economia di scala. Come le grandi aziende possono accedere ai servizi con le migliori condizioni del mercato anche la community riesce ad ottenere condizioni di mercato vantaggiose in quanto muove una massa critica di persone maggiore. Per cui tramite gruppi di acquisto possono ottenere scontistiche che un singolo individuo non potrà mai avere.
Ma i benefici economici non provengono solo dai gruppi d’acquisto ma anche e soprattutto dalla condivisione di spazi comuni come ad esempio il micronido o il car sharing.
La gestione delle co-housing è locale e non gerarchica. Pertanto i componenti amministrano direttamente la struttura e decidono democraticamente la suddivisione degli spazi, dei lavori di manutenzione e della gestione generale della community.
Cos’è il co-housing in Italia?
In Italia il cohousing si è sviluppato solo di recente e ma ci sono progetti piuttosto interessanti, lungo tutto lo stivale. Le regioni maggiormente interessate sono Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Calabria e Sicilia. Le formule sono le più disparate. A Torino si sono raggruppati sotto forma di cooperativa e hanno recuperato un vecchio edificio, a Forlì ha preso le sembianze di villette bi-familiari, in Calabria l’intento è stato quello di fornire accoglienza a ragazze in difficoltà o in stato di solitudine.
Il cohousing in Italia segue due filoni. Uno è quello classico dove l’iniziativa parte dal basso con la creazione di comunità intenzionali, l’altro è tramite enti promotori. Gli enti promotori possono essere pubblici o privati. Nel caso dei privati possono essere studi associati di architetti, costruttori o agenzie immobiliari che progettano e vendono soluzioni abitative con spazi in comune.
Fra i promotori ricordiamo Cohousing di Milano,Programma Housing della Compagnia San Paolo che opera un po’ in tutta Italia, Nova Habitat di Bologna, segnaliamo inoltre l’interessantissimo progetto We4share di Monopoli in Puglia ma quasi ogni provincia ha il suo.
Normative del cohousing
Al momento non esiste alcun quadro normativo che regoli e definisca il cohousing in Italia. Le uniche comunità che sono riconosciute dalla Stato sono quelle religiose. Gli istituti a cui i cittadini italiani possono fare riferimento sono:
- associazione culturale, di promozione sociale, onlus, di volontariato
- fondazione
- cooperativa
Di solito le più usate sono le cooperative e la fondazione in quanto prevedono la creazione di un soggetto giuridico in grado di raccogliere i fondi necessari per la realizzazione del progetto. L’associazione culturale invece è più indicata per coloro che si impegnano a divulgare lo spirito del coabitare e il dialogo con le pubbliche amministrazioni.
Cos’è il co-housing quindi?
Alla domanda cos’è il co-housing possiamo quindi dire che è un modo diverso di abitare. Se da un lato c’è l’aspetto economico dall’altro c’è l’aspetto sociale e direi che questo secondo aspetto sia più impegnativo del primo. Condividere degli spazi in comune non è da tutti. E’ una scelta di vita. E’ la scelta di far parte di una comunità con tutto quello che ne consegue. La vera scelta è mettere al centro la comunità, senza ideologie, ma solo per il gusto di condividere qualcosa con qualcun altro.
Chi è consapevole di questa scelta ne può trarre molti benefici. Secondo uno studio dell’università di Utrecht chi vive in cohousing vive più a lungo. Molti studi scientifici dimostrano che le relazioni sociali aiutano a invecchiare bene. Non è un caso che oggi compaiano sempre più cohousing destinate agli anziani come soluzione alternativa ai ricoveri. Il cohousing non sarà per tutti ma chi lo sceglie sa bene a quali benefici va incontro.